27 luglio 2012

“Sai cosa lasci, non sai cosa trovi”: vecchi proverbi sempre veri. Con sette ore di anticipo siamo a Orio, pronti a una nuova partenza, pronti a un altro interrail, il terzo, destinazione Porto.
Sai che lasci un anno come gli altri, con tante soddisfazioni e qualche dolore, come sempre, e sai di trovare le solite cose, in mezzo a mille incognite, in città di cui sai a malapena il nome. Ti trovi sempre vicino il bicchiere e cinque debosciati con in testa svarioni e donne, viaggi e risate. Sai che troverai il divertimento, gli sbattimenti e qualche inculata ma poco conta, ché tanto si riderà anche e soprattutto di quelle.
Sei ore all’aereo, coca e sambuca, siamo pronti.

In qualche lingua, non si sa per quale motivo, ci comunicano che l’aereo partirà con almeno un’ora di ritardo. Noi siamo già incastrati nei loculi della Ryanair, qualcuno dorme come niente fosse, qualcun altro parla del più e del meno con tutta la serietà concessa dalla notte prima che, per intenderci, è vicina allo zero. Alzato da tempo il gomito, alziamo anche la voce e Ped ci dà una mano. Un signore pelato ride, una donna ci guarda male perché una macchina fotografica le è caduta in testa. Succede.
Quando finalmente si parte capiamo subito che il peggio deve ancora venire: due ore e mezza schiacciati tra i sedili, l’euforia scende, la stanchezza sale, siamo in sbornia, distrutti.
Atterriamo delicati come massi gettati al suolo, scendiamo e ci attende la sorpresa che mai nessuno si sarebbe aspettato: la nebbia. Grigiore e freddo per tutta la giornata.
Si alza il morale con una birra e qualcosa da mangiare al cafè Java in attesa che la stanza sia pronta e poi si gira per Porto. Una città scrostata e scoscesa, vecchia e affascinante. Ha angoli d’arte e fascino indiscutibili e parentesi decadenti da terzo mondo, la povertà che s’annusa e una cortesia che, di conseguenza, s’apprezza ancor di più.

L’ostello ha un giardino, delle sdraio, un tavolo, un bel salotto, tre computer, la cucina. I bagni sembrano puliti, le stanze quasi, i letti ci sono, i cuscini più o meno ma è sufficiente, si dorme, finalmente, poi siamo a posto, prima notte, si parte, pronti, via.

28 luglio 2012

28 luglio, secondo giorno, primo risveglio di sete e sbattimenti. La prima impressione è confermata: tutto costa poco e funziona molto, ci sono le prove, dove eravamo buttati la sera, qualche ora prima, per strada, coi bicchieri in mano. Porto, intanto, ci aspetta, ancora coi gabbiani e il vento ma stavolta col sole. È un’altra prospettiva, un’altra città. Si scende ma soprattutto si sale: 197 scalini della torre Dos Clerigos con Rapunzel e bicchieri di porto compresi Si è preso il via  e si continua, scalini, sali, scendi, risali, fiume, lungofiume, pescatori di niente. Dai balconi arriva distorta la musica del posto, roba che preferiresti non sentire ma che fa colore, decora, completa. Pranzo al volo mentre un tizio canta anche se potrebbe evitare e i bambini corrono a lanciarsi in acqua, poi su sul ponte Dom Luis I, sospesi sul Douro e in un attimo Vila Nova de Gaia è lì, inizia la caccia al vino. Si sceglie Kopke perchè è 6,50 euro cinque bicchieri, cioccolato, sbrodolani divani, briscola e sbabbioni. Poi succede che ti sdrai sul prato perchè c’è il tramonto sul fiume, in faccia alla città, e trovi due erasmus dei poli opposti, Venezia e Pescara, guide turistiche a sto prezzo.

 

Il resto è ancora vino, il tramonto sulla terrazza, in cima al Dom Luis, colori che neanche te li immagini, Ultimo amore, Vinicio. Il resto è confusione, cena completa a 6 euro, un sonnellino, Ped che grugnisce. Il resto sono ciotole di cocktail, discoteche portatili, tequila, sale, limone. Il resto è Lisbona, arrivederci Porto: obrigado.

29 luglio 2012

Mancava il treno per cominciare davvero, adesso ci siamo dentro in pieno.  È bello risentire quell’odore addosso, essere sballottati qua e là per ore, rivedere le rotaie. I binari danno sicurezza, anche se non vedi dove partono, se non sai dove arrivano, sai che ci sarà un punto, una fine, e tu non devi far altro che sederti e viaggiare.

Gli altri cinque dormono, c’è uno che sembra Raiola che si accarezza la pancia e guarda le macerie di fuori, una ragazza scrive messaggi al cellulare, Ped riposa nello zaino, Ben Howard nelle cuffie. C’è anche il tempo di insultare il controllore se ti sveglia, due ore a Lisbona.

Ci sdraiamo in fretta sul lungo Tago, è l’ora più calda. Nei nostri progetti c’erano una stanza, letti, cuscini, ma possiamo entrare solo alle quattro: check-in rilassati. Ci accorgiamo che si può dormire anche sdraiati su scalini di cemento e sotto un sole porco se non si chiude occhio da un giorno intero, ma col pomeriggio arriva anche la benzina: una birra in praca do Comercio e siamo pronti a sfidare le salite mortali della Baixa e dell’Alfama, su fino al castello di Sao Jorge, in cima a Lisbona.

Sembra un’altra giornata, sembra tutto dilatato, lunghissimo. La discesa è col 28, il tram d’epoca che scende fino allo Chiado.  Arriviamo in ostello al momento perfetto, la stanza è pronta ma ormai abbiamo preso il via. Vino, birra, tutto a un euro, briscola, internet, poltrone. Sembrano esserci solo ragazze, lo staff è gente come noi. Insieme decidiamo due cose: cenare in ostello e andare a dormire sobri molto presto. Effettivamente, abbiamo cenato in ostello.

30 luglio 2012

Tram per Belem, torre vista Tago e monastero.  È bello scoprire appena arrivati che il lunedì è tutto chiuso e che oggi, giustamente, è lunedì. Bello perchè alla fine è una scusa come un’altra per godersi il verde del posto sdraiati sotto le fresche frasche a chiacchierare di canadesi, australiani e francesi conosciuti la sera prima e di quanto sia buono avere vino a un euro e colleghi di tutto il mondo in ostello.

La sera Iolanda ci convince a pugni che il pub crawl è cosa buona e giusta . Quindici euro per farsi male al Bairro Alto, cocktail no limits, shots di sciroppo e quando trovi la sambuca sembra che il mondo sorrida, o forse sorride davvero.

31 luglio 2012

Il pub crawl è tanto cosa buona e giusta la sera quanto disastrosa la mattina, ma pur piegati e assonnati non molliamo i buoni propositi. Arriviamo così a Sintra, la perla.
L’impressione è che Sintra sia come quella canzone che è solo tua, che hai scoperto appena uscita e che nessuno ascolta. Poi, passa in radio una volta, dieci, mille, la cantano tutti e non ne puoi più. Ma la bellezza è pur sempre bellezza e, anche contaminata, non la si può odiare.

Le vie strette e acciottolate che si arrampicano verso Pena ti portano da un’altra parte se riesci ad ignorare gli stand delle botteghe di souvenir. Lo sforzo, poi, diminuisce col tempo e sparisce del tutto quando entri al Parque de Pena, passi dal castello dei mori e arrivi al palazzo. Soldi spesi bene.

Il tutto immerso tra piante targate, salite ripide, natura, verde, un laghetto che sembra il naviglio, due papere. Ci sembra di non arrivare più eppure mi pare che il viaggio stesso sia parte della bellezza. Come dice qualcuno, più è dura la salita, più ti sembrerà bella la vetta. Metafora da prendere alla lettera.

01 agosto 2012

L’after al Bairro Alto non s’ha da fare ma lo capiamo troppo tardi, quando il sonno non si può più posticipare e la partenza è troppo vicina. In cinque dormiamo, uno solo è sveglio ma da un’altra parte, in un altro mondo, e non si accorge che sono le otto, che i coglioni vanno svegliati. Così perdiamo il treno e l’arrivo a Faro è posticipato di un paio d’ore. Mal di testa.

L’ostello è vicino alla stazione, unica cosa buona, perchè ci accoglie un vecchio che non parla inglese, è imbecille e pure stronzo. La bettola puzza di chiuso, non si può bere, parlare e fare un sacco di altre cose. Il mare è a nove chilometri – ma questo lo sapevamo già – e i pullman passano più o meno mai. La notte ci sono in giro quattro vecchi e due bambini che guardano tre bancarelle di libri, c’è un ristorante giapponese all you can eat e nessuno che si diverte. Mal d’umore.

Nel mezzo c’è l’ennesima attesa per il pullman di ritorno.  È il ponte di praia de Faro, sospeso sul parque de Ria Formosa, è il tramonto. Il cielo rosa attorno a una palla di fuoco, acqua nera all’orizzonte, fischia il vento, aironi e gabbiani s’incrociano, il rombo d’un aereo che decolla, un’automobile rompe la magia ma è solo un attimo, poi Apparat m’accarezza e torna tutto com’era: perfetto.

02 agosto 2012

Tosta mista e Super Bock, le parole d’ordine. Il secondo giorno a Faro è meno peggio e anche Ped si diverte sul bagnasciuga. Non fosse che l’acqua è gelida e il bagno è utopia andrebbe anche tutto molto bene.

Per la prima volta si respira aria di vacanza e lo si fa sdraiati sotto il sole, in mezzo a sabbia, birra e vento. Finalmente. Dopo la buona cena low cost a praia, altro pullman, altra serata. C’è una sagra, ce lo dice un portoghese che ha imparato l’italiano nella Svizzera tedesca e ama Roberto Baggio e padre Pio. Sono quaranta bicchieri di sangria serviti dalla più bella delle belle portoghesi, il tutto mentre si calpestano cani e si fugge da spacciatrici e vichinge di MTV, mentre una pseudososia di Shakira piange e un dugongo indigeno vomita l’impossibile, mentre la serata finisce nell’unico modo possibile e immaginabile a Faro. È l’ultima, si dorme.

 

03 agosto 2012

Si passa dalla morte alla vita, è chiaro già alla stazione. Lagos brulica, che si positivo o negativo è tutto da vedere.
Il tizio dell’ostello parla a manetta ma ci dice tutto ciò che serve. Siamo in centro pieno, lanciati. A praia Batata ci sono solo giovani, palestrati, americani in copia. L’acqua è sempre gelida, il vento impetuoso, ma noi guardiamo dall’altra parta parte: chiringuito.  Si parte come sempre: Super Bock e tosta mista. Si finisce come speravamo: mojito.
La cena completa al Tapas davanti a noi ha un prezzo ridicolo, cocktail carichi a poco prezzo. All’Eddie, poi, troviamo lo Zombie gigante, le freccette e i Kings of Leon. C‘è anche un targhetta col testo di Fans, dei poster di Trainspotting e Snatch, un cartellone con mille buoni motivi per bere birra.

Scende lo Zombie, sale l’euforia, siamo campioni di freccette ma è tempo di andare. Giriamo tutti i locali consigliati: vuoti. Uno solo è tanto imballato da non poterci entrare ma, infine, becchiamo il Grand Cafè, vuoto ma con la consumazione obbligatoria. Giusto il tempo di bere e si riempe, sale il volume, cresce la confusione, caldo.
Parliamo tutte le lingue del mondo.

04 agosto 2012

La sveglia suona al vento, per nessuno. Fare colazione in ostello è un proposito e tale resta. In tre ci incamminiamo verso la perla di Lagos, praia de Dona Ana. Il percorso è un sali e scendi lungo le scogliere, a picco sul mare, da mozzare il fiato.

 Peccato solo che la spiaggia sia piena e la bassa marea decida di rincorrerci tutto il giorno. In compenso, l’acqua è fredda ma tanto bella da invogliare a tuffarsi, a entrare nelle grotte, a godere in piedi, perchè altrimenti è impossibile, del sole, prima che scompaia dietro le rocce.

Ci sono delle torinesi, un po’ d’italiani vari e i soliti brutti americani, gli stessi che la sera cercano di uscire dai locali con gli estintori in mano, che si sdraiano ubriachi per strada, che rompono i coglioni e infastidiscono a vista.  È così che la seconda serata a Lagos vola via, sempre tra Eddie e Grand Cafè, tra Zombie e freccette. C’è anche chi s’incazza coi kebabbari, buttafuori che pippano dappertutto, vetrine rotte, presunti morti. Lagos il sabato sera, prendere o lasciare. Noi, nel dubbio, ci dormiamo su.

05 agosto 2012

Giornata relax, non si cammina, non si gira. Nelle intenzioni, perchè nel tragitto verso Meia praia, la spiaggia di quattro chilometri che arriva fino a Portimao, incontriamo un imbonitore che ci convince a spendere dieci euro per fare il giro in barca delle grotte. Ci dividiamo: in tre con capitan Findus, gli altri con capitan Nao hà, che attacca per quarantacinque minuti, appena partiti, a snocciolare i nomi di scogli e rocce. Nao hà il coccodrillo, il gorilla, nao hà due elefenati e King Kong, nao hà l’arco di trionfo e la grotta dell’amore. Capitan Findus ci canta una canzone, suona una conchiglia, si diverte davanti alla spiaggia dei nudisti e capitan Nao hà spegne il motore, si fa un panino, si scola una birra.

Intanto si arriva a Ponta da Piedade, foto su foto e meraviglia. All’orizzonte c’è Sagres e sopra di noi non si contano più i gabbiani. Sentirli cantare in mare aperto è molto meglio che ascoltarli di prima mattina dalla finestra ed esserne svegliati. Il giro finisce e siamo tutti d’accordo, tutti contenti.


È tempo di Meia praia, tempo di Super Bock. Peccato solo per il vento che mitraglia, non dà tregua, non ci si può sdraiare. Le proviamo tutte ma alla fine è bar, tosta mista e, sì, Super Bock. Il resto del pomeriggio è Batata e l’happy hour di mojito, seeeeaaaaguuulll, spesa, cena.

È un vecchio amico ad accompagnarci alla serata, il caro Don Simon, la miglior sangria di Spagna made in Cina. Ce ne stiamo con Paolo, il custode loco, ci parla di Albufeira e di calcio, di bunga bunga e Berlusconi.
Fuori, Lagos è desolante, la domenica portoghese si conferma siesta. Così, nonostante si volesse cambiare, c’è aperto solo lui, il Grand Cafè. Simon è andato, dunque Sambuca, cassa dritta, drum, bass, drum & bass.

Nella living room ci fa compagnia Luigi, l’amico di Paolo, che poi è amico di Spalletti e Bruno Alves, nonché il miglior calciatore fallito del Portogallo intero. Loro fumano e stendono, noi, stesi, ridiamo e basta mentre anche il terzo giorno di Lagos se n’è andato. Tutto sembra così lungo ma tutto vola troppo in fretta, in un secondo.

06 agosto 2012

Dona Ana 2, il ritorno. Solo in tre rispondiamo alla sveglia e via diretti verso la spiaggetta che tanto spiaggetta non pare più. L’acqua si è ritirata al punto da scoprire interi scogli e metri di sabbia e noi quasi non la riconosciamo. Manco a dirlo, tosta mista e Super Bock, poi bagno, Super Bock, sole, Super Bock, via fino al colpo di genio, perchè si può avere la grande idea di presentarsi con tre caipirinhe in mano alle tre pomeriggio.  È cachaca pura e si perde la testa, prima, si perde anche il conto, alla fine, di quanto si è bevuto.


In un attimo ci sono il sergente Hartman, Piero Pelù e Domenico Modugno, tutti gli occhi sono per noi, qualcuno ride. Ce n’è per le cozze e i gabbiani, per il mare che risale e per i foggiani. Intanto è pomeriggio inoltrato e arrivano gli altri. Cosa potranno mai portare se non Super Bock? Saudè!

L’arrivederci potrebbe proseguire meglio perchè, se è vero che il menù dell’Eddie è lo stesso e non gli si chiede null’altro, è ancor più vero e triste che dal Grand Cafè ci si aspettava più della stancante accozzaglia di americani e australiani barcollanti, brutti e fastidiosi. Ma l’after, l’ennesimo, è ormai in programma, si passa il tempo col basket in tv, le olimpiadi, vino rosso acetoso, tosta mista.
È la volta di Siviglia, della Spagna, siamo appena partiti, sono le 6:26 e non si può non ascoltare Cremonini. Con ancora negli occhi le scogliere dell’Algarve, inizia l’ennesimo viaggio, pronti al ritorno in Spagna, carichi per il gran finale. “Ma questa è un’altra storia”.

07 agosto 2012

Il viaggio per Siviglia è scomodo, lungo, e da Faro anche affollato. Si dorme poco o niente, si cammina verso Santa Justa, verso Cordoba. Presto ci rendiamo conto che è meglio evitare, che ha poco senso andare in una nuova città stanchi e senza punti di riferimento per starci una notte sola. Il resto va da sè: cerchiamo Don Paco, l’hotel che ci aveva ospitato due anni prima. Flash improvvisi di memoria e lo troviamo ma nada, pieno. Ci accontentiamo dell’ostello vicino ed è un buon accontentarsi.

Noi tre, i vecchi dell’interrail, abbiamo un conto in sospeso con Siviglia. così la prima tappa è obbligatoria: piazza di Spagna, finalmente senza impalcature, senza lavori. Mentre chi la vede per la prima volta resta a bocca aperta per la meraviglia, è bello avvicinarsi alla fontana centrale, lasciare che i getti mossi dal debole vento ci rinfreschino per un po’. Ci sono sempre più di quaranta gradi, il sole fa male, il Prado de San Sebastian non offre rifugio e allora andiamo a regolare un conto che stavolta riguarda tutti e sei. quello col sonno.

Per qualche strana fortuna ci risvegliamo prima che sia notte, cena abnorme di tapas e poi rotoliamo per il centro di Siviglia, bello come la prima volta, forse di più. Cerchiamo e non troviamo la piazzetta piena di ricordi e canas a 80 centesimi, ci accontentiamo di un pub sulla strada perchè tanto la testa è già via, a Barcellona, alla mattina dopo.
Siamo pronti e riposati per il capitolo finale e ogni capitolo finale che si rispetti fa il botto.

08 agosto 2012

A parte le tre ore per trovare un posto in cui dormire, a parte che si sente parlare italiano più sulla Rambla che in piazza Duomo, a parte questo e molto altro, Barcellona ha sempre il suo fascino, peccato che noi stavolta ce ne sbattiamo e andiamo nell’unico posto che desideriamo davvero: el Bosc de les Fades.
Siamo cinque sopravvissuti con sette jarras, il che fa più o meno un litro e mezzo a testa di primo pomeriggio, pace, amore e sbornia infinita. La conseguenza logica è la cena al Porto Olimpico all’una di notte, prima di perdersi tra i mille locali lì sotto, con un po’ di Spagna e un po’ di Cuba, tanta Italia, tantissimi cocktail, ancor più confusione.

Perdere la bussola è un attimo e tac, siamo in spiaggia tra gli amanti e i piccioni a fare il bagno di notte che è quasi mattina. L’acqua è calda ma fuori fa un freddo porco, ci vuole una cerveza per scaldarsi, una mappa per orientarsi, una camminata per riprendersi. Si arriva a casa a rate ma ci si arriva, ed è già qualcosa. Intanto, la miccia è stata accesa, il primo botto finale è andato ma abbiamo altri colpi in canna, un sacco di cose da fare e ancora una sola occasione per farle.

09 agosto 2012

Che cosa potremmo fare mai, se non andare al Bosco? Risveglio morbido, arido, con calma ci avviamo e ancora jarras e show. Come a Lagos, così a Barcellona. C’è Pelù ma soprattutto Hartman, c’è anche un’israeliana con alle spalle tre matrimoni e chissà cosa e quant’altro.

Siamo carichi ma agli sgoccioli. I locali in cui
si paga li evitiamo come la peste e ci restano gli stessi, i soliti, solo più affollati ancora.
Tutta la serata è un perdersi e ritrovarsi, bere, fare foto, farci fare foto, essere derubati, rischiare di essere derubati, camminare, cercare, non trovare, puttana. Finisce al cesso, finisce con l’ape che sale sull’ape e parte, il nonno che rimbalza.
Finisce col mal di testa e tre ore scarse di sonno.
Finisce.

10 agosto 2012

Finisce com’è cominciata: con sette ore d’anticipo in aeroporto, da un lato più pesanti, dall’altro un po’ più leggeri di quattordici giorni prima. Ci sono lo sconforto e la stanchezza, la voglia di tornare a casa e il desiderio di restare, continuare, prendere un treno che vada da qualche parte e via.
Tutti giù per terra, briscola, meno quattro.
Finisce che può succedere di tutto, persino che l’unico aereo in ritardo sia il tuo, di ben due ore, e che un altro ti aspetti poche ore dopo a Milano, forse troppo presto, può succedere tutto che tanto il pensiero rimane lo stesso, un pensiero che si moltiplica per quattordici, come i giorni, poi ancora per mille, come gli episodi, le emozioni, e un’altra volta per sette, come le città, e per diecimila, come i luoghi, le persone, i sorrisi, e infine per cinque, come gli amici.

Pronti, partenza, via. Di nuovo. In un certo senso è finita, meglio pensare che sia iniziata.

Pubblicato il da interrail12 | Lascia un commento